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UN CASO EMBLEMATICO: LE ISTITUZIONI PENITENZIARIE


   LE ISTITUZIONI PENITENZIARIE

L'evoluzione delle istituzioni penitenziarie nella cultura occidentale, oltre a costituire uno degli aspetti più significativi e allo stesso tempo più inquietanti della nascita della modernità, rappresenta anche un'ottica privilegiata da cui cogliere i tratti tipici di ogni istituzione:

- In primo luogo, i criteri e sistemi con cui ogni comunità decide di sanzionare i comportamenti non conformi alle norme socialmente condivise costituiscono la manifestazione più visibile del controllo sociale.

- In secondo luogo, la molteplicità degli scopi sociali di cui la collettività investe le istituzioni penitenziarie  permette di cogliere in esse un caso emblematico della  pluralità di funzioni, aspetti e significati che caratterizza ogni ambito istituzionale. 

- Infine, le istituzioni penitenziarie sono in modo emblematico, delle organizzazioni.


DAL SUPPLIZIO ALLA SORVEGLIANZA

È probabile che il concetto di istituzione penitenziaria evochi immediatamente in ognuno di noi il pensiero del carcere con cui oggi si è soliti sanzionare chi ha commesso il reato. Fino alla seconda metà del Settecento, nelle società occidentali la prigione non era una vera e propria struttura di detenzione, ma il luogo in cui venivano temporaneamente ospitati gli imputati in attesa del giudizio. 

La forma paradigmatica delle punizioni, era il supplizio, nella varietà delle sue manifestazioni: I criminali venivano torturati, fustigati, sottoposti al pene corporali di ogni tipo spesso; questo rituale di sofferenza culminava nell' esecuzione pubblica, condotta al cospetto della folla con modalità piuttosto cruente.

Come ha mostrato lo storico e filosofo francese Michael Foucault  nel saggio "sorvegliare e punire ",  la punizione costituiva una vera e propria dimostrazione di forza da parte del potere politico nei confronti di chi aveva violato la legge e di ogni potenziale trasgressore e ciò ne giustificava tanto la ferocia quanto il carattere spettacolare.

Perché nascesse il concetto moderno di prigione erano necessari un ripensamento del significato della pena,  non più intesa come semplice vendetta del potere nei confronti dei suoi oppositori, e dall'altro la diffusione a livello sociale di una nuova sensibilità, contraria all'uso di supplizi efferrati e cruenti e all'esibizione pubblica della Sofferenza.  è ciò che avviene nella cultura europea a partire dal XVIII secolo quando gli intellettuali illuministi,  invocarono la necessità di un diritto penale più razionale umanitario. Parallelamente a questo si affermò quel processo di affinamento dei costumi  e dei comportamenti che il sociale tedesco Norbert Elias definì Zivilisation  che da ceti socialmente più elevati si diffuse gradualmente a strati sempre più ampi di popolazione.

Fu negli Stati Uniti, per iniziativa dei quaccheri, che nella seconda metà del Settecento sorsero le prime carceri nel senso moderno del termine. Il loro nome, penitenziari houses, si spiega proprio considerando la finalità di tipo spirituale e religioso che ne ispirò la realizzazione: permettere al recluso l'espiazione delle proprie colpe attraverso l'isolamento e la pratica quotidiana del lavoro; lo stesso spazio fisico in cui era rinchiuso il detenuto era pensato secondo il modello di ispirazione religiosa della cella monastica.

Walnut Street, inaugurata in Pennsylvania nel 1784, fu la prima struttura di questo tipo. Ispirato a simili principi, ma con alcune modifiche di carattere organizzativo fu il carcere di Auburn che nacque nello stato di New York nel 1818. Nel corso del XIX secolo i modelli carceri statunitensi si diffusero rapidamente in tutta l'Europa.

Secondo Foucault, con la nascita delle prigioni moderne si assiste a una nuova modalità di punizione, quella della tecnologia disciplinare, il cui scopo non è più  martoriare il corpo del detenuto, ma controllarlo e sorvegliarlo attraverso la definizione rigorosa degli spazi e dei tempi, dell'attività che lo riguardano. A tale intento viene finalizzata la stessa struttura architettonica del carcere, che deve garantire la sorveglianza costante del detenuto, ma al tempo stesso impedirle di conoscere il momento effettivo in cui viene osservato dai sorveglianti, favorendo così l'interiorizzazione della punizione. L'istanza di disciplina di controllo che presiede al sorgere delle carceri si afferma, secondo Focault, anche in altre istituzioni segregative, che nascono parallelamente in seno alla società occidentale: ospedali, manicomi, scuole e caserme. La medesima istanza presiederebbe, secondo l'autore, persino alla nascita della Scienza umane, che sorgono nello stesso periodo con l'intento di studiare il comportamento degli individui e di controllare i meccanismi che lo determinano.



LA FUNZIONE SOCIALE DEL CARCERE

Perché si mettono le persone in prigione?

Da un lato, la gente imputa alle autorità giudiziarie un uso limitato o eccessivamente indulgente delle pene detentive, dall'altro manifesta scarsa fiducia nel utilità sociale del carcere e nella sua capacità di arrecare benefici a chi vi è recluso. Anche le critiche all'organizzazione carcere non sono univoche: c'è chi lamenta il sovraffollamento delle prigioni e il degrado delle condizioni di vita dei detenuti, e chi all'opposto, ritiene che il regime carcerario sia troppo mie per coloro che devono scontare una condanna.

La definizione della funzione sociale del carcere rimanda, in realtà due questioni chiavi: 

-Lo scopo della pena 

-la definizione di criminale. 

Per quanto riguarda lo scopo della pena è necessario richiamare alcune delle principali teorie che storicamente sono state adottate in merito: 

- le teorie a retributive, sono quelle concezioni che vedono nella pena la giusta retribuzione del danno causato dal Reo con il suo gesto, proporzionale per entità alla gravità dell'infrazione commessa. 

-  le teorie utilitaristiche, che considerano la pena giustificabile dal punto di vista della sua finalità sociale che può essere definita in diversi modi: 

1. come forma neutralizzazione del Reo e del pericolo che esse rappresenta; 

2. come dispositivo di prevenzione dei reati; 

3. come strumento di rieducazione e di recupero sociale dell'individuo.

Lo scopo della pena è quello di impedire al Reo di fare nuovi danni ai suoi concittadini e di rimuovere agli altri da farne degli uguali. 

La lettura in chiave "riabilitativa" dell'istituzione carceraria sembra la più plausibile sotto il profilo razionale umanitario; tuttavia essa si scontra con una serie di problemi e ambiguità di fondo. 

Da un punto di vista empirico, è fin troppo facile contestare l'idea che la prigione possa rieducare i soggetti condannati, l'altra percentuale di recidive riscontrabili tra i detenuti e in genere le difficoltà di reinserimento sociale delle persone uscite dal carcere sembrerebbero attestare la debolezza di questa convinzione. 

Inoltre accentuare l'idea della carcerazione come riabilitazione rischia di assimilare lo status di detenuto a quello di un malato portatore di una qualche patologia personale o sociale che è necessario correggere aprendo così la strada a pericolose derive verso la manipolazione e il controllo degli individui reclusi.


Oggi i moderni trattamenti carcerari sottolineano la necessità del coinvolgimento attivo e responsabile del detenuto nel suo programma di rieducazione: gli stessi benefici premiali; istituiti da molti ordinamenti penitenziari, sono subordinati alla condotta del detenuto e alla sua disponibilità ad accettare il percorso rieducativo che lo riguarda.

Ma possiamo anche chiederci se e in che modo sia applicabile alle istituzioni carcerarie la distinzione di Merton tra funzioni latenti e funzioni manifeste e delle istituzioni. Una possibile risposta a questo interrogativo è stata formulata da Emile Durkheim, in " la divisione del Lavoro sociale ". Lo studioso francese, dopo avere identificato nella rottura del legame sociale l'elemento costitutivo di ogni comportamento criminale, coglie nella sanzione inflitta al reo  una sorta di rituale collettivo in grado di ripristinare simbolicamente questo legame.  lo scopo più profondo della sanzione non sarebbe quindi quello di punire i trasgressori, ma piuttosto di rafforzare i vincoli sociali , riaffermando il valore delle norme condivise e dei comportamenti individuali a essa conformi. 

Potremmo allora pensare che l'istituto del carcere, Al di là delle finalità esplicite che si propone Nei riguardi dei soggetti condannati e della misura in cui riesce a conseguirle, sia anche un mezzo per ribadire la condanna sociale dei comportamenti criminali e per dare a questi stessi  comportamenti una visibilità che li renda Chiaramente definibili. in questo modo il carcere contribuirebbe a costruire la categoria sociale delle devianze e a distinguere tra ciò che è lecito e ciò che invece è inaccettabile in un determinato contesto sociale.

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DOMANDE p.355

  1.) PERCHE' LE ISTITUZIONI PENITENZIARIE SONO UN ESEMPIO EMBLEMATICO DI "ISTITUZIONE"? L'evoluzione delle istituzioni penitenziarie nella cultura occidentale, oltre a costituire uno degli aspetti più significativi e allo stesso tempo più inquietanti della nascita della modernità, rappresenta anche un'ottica privilegiata da cui cogliere i tratti tipici di ogni istituzione: -In primo luogo, i criteri e sistemi con cui ogni comunità decide di sanzionare i comportamenti non conformi alle norme socialmente condivise costituiscono la manifestazione più visibile del controllo sociale. -In secondo luogo, la molteplicità degli scopi sociali di cui la collettività investe le istituzioni penitenziarie  permette di cogliere in esse un caso emblematico della  pluralità di funzioni, aspetti e significati che caratterizza ogni ambito istituzionale.  -Infine, le istituzioni penitenziarie sono in modo emblematico, delle organizzazioni. 2.)QUALI SONO LE TAPPE DELL'EVOLUZIONE